Tappa 05 - La comunità scomparsa
Coldelce prende il nome dai lecci che ricoprivano il colle (Collis Ilicis, colle dell’elce), di cui oggi non rimane traccia. Non rimane traccia neppure del castello, che dominava il paesaggio verso l’attuale Gallo di Petriano, verso il fosso del Razzo, affiancato dal monte Busseto. In cima a questo c’era un monastero benedettino, completamente smantellato e le cui tracce sono ancora presenti nel terreno, anche se oggi è difficile raggiungere il luogo perché il terreno è occupato da pastori che tengono liberi i cani. Il ristorante dunque è una occasione unica per arrivare fino in cima alla strada sopra l’Apsa e qui ci si ferma. Ma la salita vale l’impegno: il paesaggio, completamente cambiato, restituisce però un senso di pace e di ancestralità che sono difficili da trovare. Non a caso nel giardino della Celletta, dentro il terreno limitrofo a quello che è stato il castello di Coldelce, gli astrofili hanno posizionato un osservatorio e propongono serate di osservazione del cielo.
Sulle origini del castello si sa poco, ma, se pure i documenti in cui è citato risalgono al 1200, le sue origini sono ben precedenti: si parla di insediamento di epoca romana, ma più certo è che un insediamento doveva essere presente nel 1069 quando si parla della Pieve di Sant’Eracliano, che dunque è legata ad un insediamento umano. Il territorio di riferimento era ampio: posizionata tra la valle dell’Apsa del Razzo e quella del Foglia, confinava con Petriano e i Castelli di Ripe e di Genga. Era un nucleo fortificato di modeste dimensioni, circa 3000 metri quadri, e si entrava da una porta priva di fossato posizionata ad est; dentro il castello le abitazioni e la casa comunale.
Risale al primi del 1400 un documento che parla della difficoltà per gli abitanti di raggiungere la Pieve più antica, quella medioevale, piuttosto lontana dall’abitato e dunque esponendosi a pericoli e difficoltà e della necessità di avere una chiesa più vicina. Nel 1420 viene venduto un terreno della chiesa e si decide di costruire un oratorio all’interno del castello.
Ma la vita dei coldecesi è stata sempre connotata da povertà e durezza del lavoro: il terreno argilloso non ha aiutato chi voleva dedicarsi alla coltivazione dei cereali e della pastorizia. Tranne il periodo federiciano, particolarmente prospero come in tutto il ducato di Urbino, la vita a Coldelce è stata caratterizzata da carestie, dalla lotta per la sopravvivenza, soprattutto quando le tasse imposte nell’800 dalla Legazione di Urbino spingevano anche a tentare di trovare strategie di sopravvivenza: come chi cercava di sfuggire ai controlli dei finanzieri sulle strade di confine per cercare di non pagare le tasse sul macinato andando a farlo in Romagna, dove la tassa non era applicata. Numerosi i documenti di lamentele, di denunce, di racconti di fatti legati a famiglie rovinate dal sequestro dei beni. Sarà stato per questo che spesso i coldecesi non si opposero troppo ai componenti della banda Grossi, che passando dalle loro case pagavano in cambio di denaro.
Oggi la zona di Coldelce è tra le più integre di tutta Vallefoglia, anche se la sua natura rispecchia una operazione non sempre sensata dell’uomo. Si tratta di un paesaggio che parla delle trasformazioni del territorio che, anche quando non presenta insediamenti industriali o cementificazione, ma porta i segni di una azione non sempre strategica, con la quale i segni della storia e dell’identità sono stati o stanno per essere cancellati.